Con l’ordinanza n. 1486/2025 la Corte di Cassazione sancisce un importante principio in tema di collocamento del figlio minore nei giudizi di separazione e divorzio, secondo cui il collocamento e la frequentazione del bambino devono essere stabiliti sulla base di elementi concreti, alla luce dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, anche se si tratta di minori in tenerissima età.
La vicenda prende avvio da un reclamo ai sensi dell’art. 473 bis.24 c.p.c., con cui la madre di una bambina di poco più di tre anni chiede e ottiene la riforma della pronuncia del primo giudice, che aveva deciso per un affidamento condiviso fra i genitori, con collocamento paritario.
La bimba viene così collocata prevalentemente presso la madre, che secondo la Corte d’Appello rappresenta la figura più adeguata per prendersene cura; contestualmente, vengono modificate in maniera significativa le modalità e soprattutto la frequenza con cui al padre è consentito farle visita.
In effetti la Corte d’Appello poggia la sua decisione su una prassi ormai consolidata e confermata da una giurisprudenza pressoché costante, secondo la quale i bambini sotto i tre anni o di poco più grandi sono collocati quasi de plano presso la mamma, poiché si ritiene che in tenera età siano più bisognosi delle cure materne.
Il padre, vedendo limitato il proprio diritto di visita alla figlia a due pomeriggi a settimana, oltre che a weekend alternati, ricorre in Cassazione, lamentando una eccessiva e discrezionale diminuzione del proprio ruolo di genitore, ingiustificata e lesiva del suo rapporto con la figlia.
La Suprema Corte accoglie il ricorso, fissando un principio generale innovativo, per cui il giudizio relativo al collocamento di un bambino, a prescindere dall’età, non può essere fatto adducendo unicamente elementi astratti; al contrario, deve prevalere una valutazione concreta sulle condizioni di vita familiare, in relazione alle capacità e attitudini di entrambi i genitori nella cura e nell’educazione del figlio.
Nel caso di specie, si afferma, il passaggio da un collocamento paritario a uno prevalente presso la madre è stato dettato da un criterio astratto – quello della tenera età della bimba – erroneamente prevalente rispetto a una doverosa valutazione in concreto sul ruolo del padre, sulla sua volontà e capacità di coltivare un rapporto più continuativo e assiduo con lei. Difatti, la drastica diminuzione dei tempi visita risulta ingiustificata, alla luce di tutte quelle circostanze di fatto dalle quali si evince che egli rappresenta in realtà una figura che ben può rimanere centrale nella vita della figlia.
Il principio espresso dalla Corte mette in luce quale deve essere il primario interesse da perseguire nelle delicate vicende di separazione e divorzio tra due coniugi, ovvero l’interesse morale e materiale della prole, in un’ottica di tutela e conservazione del rapporto tra genitori e figli.
Questo vale anche per i bambini molto piccoli, che non necessariamente sono dipendenti dalla madre e che possono sovente trovare nella figura paterna un punto di riferimento al quale affidarsi sin dai primi anni di vita.
Le decisioni del giudice relative al collocamento dei figli minori, pertanto, devono essere sempre guidate dall’intento primario di garantire alla prole di ogni età l’effettiva possibilità di mantenere il rapporto con la madre e con il padre, se ne sussistono le condizioni, in ossequio, oltre che alla normativa nazionale vigente (art. 337 ter c.c.), anche al principio di tutela della vita familiare sancito a livello internazionale dall’art. 8 della CEDU.
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